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martedì 16 dicembre 2008

Una artista poliedrica....


Nada è uno di quei non così diffusi personaggi che ha saputo, nel corso dei decenni, presentare al pubblico italiano la poliedricità del suo essere artista e persona, non inseguendo quel forsennato presenzialismo che non sempre è contraddistinto dalla presenza di sostanza e qualità. Merita una visita il sito dell'artista: http://www.nadamalanima.it/. L'articolo che propongo in questo post è invece tratto da "La Domenica del Corriere", presumibilmente 1971.

Moda inavvicinabile....

Moda americana sulla spiaggia di Ostia, fine anni '60. La didascalia è tutta un programma: chissà se la bella Dorla è riuscita nel suo intento, ovvero "perfezionarsi nella lirica". Sicuramente ha fatto colpo sui bagnanti/"galli locali", ancor più interessati ed attratti alle e dalle forme agguerritamente custodite dalla ventiquattrenne statunitense.

Moda a confronto....

Dopo alcuni post decisamente impegnati ed impegnativi, passiamo alla moda fine anni '60. Decisamente interessante il modello londinese, così come la didascalia.

sabato 6 dicembre 2008

Un tema che non può avere frontiere....

Desidero proporre questa recente intervista a Gianna Jessen (pubblicata da "Grazia" il giorno 11/03/08), ricollegandomi al mio post del 20 ottobre 2008, "Figli non nati, parte di questa Italia" dove esprimevo la mia personale sensibilità antiabortista, usando peraltro toni del tutto rispettosi dell'altro, ovvero di chi è a favore della pratica abortiva. Pubblico questa intervista toccante - che non ha alcuna frontiera in quanto il tema è globale - in risposta (una risposta che nasce dalla drammaticità di una questione che tocca la società tutta) ad un commento lasciato da un anonimo che ha espresso la sua posizione, la sua sensibilità usando le armi che oggi sono classiche nei dibattiti televisivi: l'insulto. Vi invito a leggerlo (commento al post del 20/10/08). "Dialogo italiano" non è il mio blog, in senso stretto. E' pertanto superfluo intavolare un botta e risposta, fra l'altro con persone che usano l'insulto e non la dialettica ed il rispetto, che può anche contemplare la durezza nei toni, ma una durezza che sia cerebrale.

venerdì 31 ottobre 2008

Noi che... siamo sui 40...

"Noi". Magari molti lo conosceranno già, ma voglio proporre ugualmente sul mio blog almeno una parte di questo interessante elenco/poesia. Lo si trova integralmente ovunque sulla rete. Desidero anche ricollegarmi ai miei 3 post del 18 giugno: "il bambino che sono (siamo) stato" (2 post) e "là dove c'era l'erba ora c'è una città". "Noi" è dedicato a tutti quelli che... sono nati intorno alla fine degli anni '60-inizio '70. Come tutti i ricordi, anche "Noi" pecca di nostalgia, ma è comunque un elenco che ripercorre, sia pur per fugaci immagini, un'epoca che appartiene alla storia personale e collettiva di chi oggi è sulla quarantina. Un po' come l'immagine che accompagna il post, tanto cara all'autore: mia mamma comprava "il" sciroppo Fabbri (come lo chiamavo da bambino) e io adoravo menta e orzata. Per non parlare delle amarene e del vasetto, che devo ancora avere da qualche parte. Certi gesti, e quando si stimola la memoria i ricordi affiorano sempre più, oggi sono estranei persino a noi, gesti che facevano parte della nostra passata quotidianità, come il cambiare canale direttamente alla "tivì" (il telecomando in casa mia è arrivato dopo), il pagare con il gettone telefonico, il telefonare da una cabina e.... e i ricordi potrebbero continuare all'infinito. Se qualcuno vorrà aggiungerli alla lista, sottoforma di commenti, sarà il benvenuto. La nostra storia è fatta anche di questi particolari, che sembrano secondari, ma se li abbiniamo alla nostra famiglia, ai nostri compagni di classe, di gioco, ecc., beh, possono scatenare in noi sorrisi, risate, pianti, amarezza, serenità, tepore o freddezza.... non dipende certo dallo sciroppo, ma da come ti veniva versato....
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Noi
Noi che la penitenza era 'dire fare baciare lettera testamento'.
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Noi che ci sentivamo ricchi se avevamo 'Parco Della Vittoria e Viale Dei Giardini'.
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Noi che i pattini avevano quattro ruote e si allungavano quando il piede cresceva.
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Noi che chi lasciava la scia più lunga nella frenata con la bici era il più figo.
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Noi che il Ciao si accendeva pedalando.
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Noi che suonavamo al campanello per chiedere se c'era l'amico in casa.
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Noi che dopo la prima partita c'era la rivincita, e poi la bella, e poi la bella della bella.
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Noi che giocavamo a 'Indovina Chi?' e conoscevamo tutti i personaggi a memoria.
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Noi che giocavamo a nomi, cose, animali, città.. (e la città con la D era sempre Domodossola).
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Noi che ci mancavano sempre quattro figurine per finire l'album Panini.
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Noi che avevamo il 'nascondiglio segreto' con il 'passaggio segreto'.
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Noi che le cassette se le mangiava il mangianastri, e ci toccava riavvolgere il nastro con la bic.
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Noi che avevamo i cartoni animati belli!
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Noi che litigavamo su chi fosse più forte tra Goldrake, Mazinga e Daitan3.
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Noi che guardavamo La Casa nella Prateria anche se metteva tristezza.
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Noi che le barzellette erano Pierino, il fantasmaformaggino o un francese, un tedesco e un italiano.
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Noi che ci emozionavamo per un bacio su una guancia.
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Noi che si andava in cabina a telefonare con i gettoni.
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Noi che c'era la Polaroid e aspettavi che si vedesse la foto.
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Noi che suonavamo ai campanelli e poi scappavamo.
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Noi che ci sbucciavamo il ginocchio, ci mettevamo il mercuro cromo, e più era rosso più eri figo.
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Noi che nelle foto delle gite facevamo le corna e eravamo sempre sorridenti.
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Noi che quando a scuola c'era l'ora di ginnastica partivamo da casa in tuta.
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Noi che a scuola ci andavamo da soli, e tornavamo da soli.
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Noi che se a scuola la maestra ti dava un ceffone, la mamma te ne dava 2.
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Noi che se a scuola la maestra ti metteva una nota sul diario, tornare a casa era un terrore.
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Noi che le ricerche le facevamo in biblioteca, mica su Google.
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Noi che si poteva star fuori in bici il pomeriggio.
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Noi che se andavi in strada non era così pericoloso.
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Noi che però sapevamo che erano le 4 perché stava per iniziare BIM BUM BAM.
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Noi che sapevamo che ormai era pronta la cena perché c'era Happy Days.
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Noi che il primo novembre era Tutti i Santi, mica Halloween.
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Noi che se la notte ti svegliavi e accendevi la tv vedevi il segnale di interruzione delle trasmissioni con quel rumore fastidioso.
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Noi che all'oratorio le caramelle costavano 50 lire.
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Noi che si suonava la pianola Bontempi.
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Noi che la merenda era la girella e il Billy all'arancia.
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Noi che guardavamo allucinati il futuro nel Drive In con i paninari.
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Noi che avere un genitore divorziato era impossibile.
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Noi che tiravamo le manine appiccicose delle patatine sui capelli delle femmine.
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Noi che abbiamo avuto tutti il bomber blu o verde con l'interno arancione e i miniciccioli nel taschino.
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Noi che quando avevi 18 anni era gia' tanto se papa' ti dava le chiavi della sua FIAT 127 per uscire da solo, dopo mesi che avevi la patente.
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Noi che si guardava Spazio1999 oppure UFO, o Hazzard.
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Noi che guardavamo i polizieschi: Starsky&Hutch, Baretta, Cannon, Mannix, Il Santo, Ironside, Perry Mason.
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Noi che siamo ancora qui e certe cose a volte le abbiamo dimenticate e sorridiamo quando ce le ricordiamo, noi che siamo stati queste cose, e gli altri non sanno cosa si sono persi.

venerdì 24 ottobre 2008

Vacanze rilassanti (per chi?)


Leggendo questo simpatico pezzo scritto da Camilla Cederna per "L'Europeo" il 05 agosto 1951 penso a delle vacanze del tutto differenti, ma allo stesso tempo simili: le mie, per meglio dire quelle dei miei genitori, dal 1969 al 1982, a Spotorno (Liguria), peraltro graziosa località marittima. Vacanze decisamente rilassanti, ma per chi? Sicuramente per me, lo stesso dicasi per mio padre. E mia madre? Diciamo un po' più rilassanti della solita routine casalinga, ma non troppo, a partire dalla preparazione dei bagagli, sino ad arrivare a destinazione, ossia la gestione quotidiana della casa presa in affitto. In fondo, la solita routine, con tempi più dilatati, maggiori spazi morti, ma sempre vita da casalinga. Rilassanti vacanze di massa - per tutti quegli italiani che amavano ed amano la vita da spiaggia - ma il lavoro seguiva inesorabilmente le nostre mamme/mogli, casalinghe ovunque.

lunedì 20 ottobre 2008

Figli non nati, parte di questa Italia...







Questo argomento non piace ai nostri politici e sembra interessare poco anche la cosiddetta società civile. Parlo dell’Interruzione Volontaria della Gravidanza, detta IVG. Guai a chiamarla uccisione di una vita perché la vita, magicamente, diventa tale solo alla 12° settimana di gestazione. E prima della 12° settimana? Un giorno prima della 12° settimana? Non è vita, perché se fosse tale e la uccidessimo, saremmo perseguiti penalmente. E invece la legge stessa ci insegna che l’aborto provocato entro le 12 settimane non costituisce reato. Dopo, spuntando magicamente la vita, sì, è reato. Prima, no. In Italia di aborto non si parla più poiché c’è la legge 194 del 22 maggio 1978. C’è, è viva e vegeta”, per buona pace di tutti, inclusi molti cristiani che sgranano rosari, sbaciucchiano statuette di Padre Pio e praticano l’aborto, non dico senza alcun travaglio interiore - specie nel caso in cui la creatura potrebbe nascere con malformazioni -ma lo praticano. I nostri politici non parlano più di aborto, o se ne parlano i toni sono tiepidi, per una semplice ragione: chi è favorevole alla liberalizzazione dell’aborto rappresenta un elettorato ormai trasversale. In definitiva, gli abortisti li trovi in ogni schieramento ed essendo questo un problema di coscienza, meglio non sollevarlo. Ma per chi considera la coscienza un fattore preminente nella propria vita, la tragedia di centinaia di migliaia di vite stroncate ogni anno in Italia prima del nascere, non può essere taciuta. Ed ecco quindi una sintesi di questa silenziosa tragedia, suggerita dal “Centro di aiuto alla vita” (si rimanda a questa utilissima panoramica in aiuto della vita: http://www.siticattolici.it/Associazioni_e_Movimenti_Ecclesiali/MpV_e_CAV/).
Onestamente non so se si potrà mai limitare sensibilmente la tragica pratica abortiva ormai legalizzata da 30 anni. Cionondimeno, chi è mosso dalla propria coscienza, da quella voce interiore che è frutto della Fede o della Sensibilità (perché non è necessario essere cristiani o credenti per sostenere posizioni nettamente anti-abortiste) non può mollare mai nella battaglia per la vita. Le ragioni che conducono una donna ad abortire sono molteplici, non di rado dettate da leggerezza, ignoranza, mancato sviluppo di una indispensabile interiorità (che si creda in Dio o meno). Ma c’è anche paura, disperazione, assenza di aiuto, forse perché chi le sta attorno non è maturo, genitori inclusi. Abrogare l’attuale legge sull’aborto (sto volutamente estremizzando) sarebbe una pazzia. “Va dove ti porta il cuore”, ma con i piedi ben saldi a terra! Certo è che per abbattere, drasticamente abbattere, la percentuale di uccisioni legalizzate di bambini e bambine (italiane, comunitarie ed extracomunitarie) in questo nostro triste Paese in preda ad un forsennato relativismo, bisognerebbe sviluppare una lunga (temporalmente parlando) politica che non vedo neppur lontanamente all’orizzonte, ossia il potenziamento, lo sviluppo nonché la creazione di strutture adeguatamente diffuse sul territorio (in stretto rapporto con le strutture ospedaliere) di sostegno alla famiglia e ai nuovi nati non desiderati; un più agevole iter per ottenere l’adozione di creature non desiderate; la diffusione della cultura della vita, nelle scuole (sin dalle elementari) e da parte delle istituzioni (pubblicità progresso)… ma questo ho paura che sia solo un pio desiderio, perché per molti, per moltissimi, questo è un Paese moderno, anche per aver acquisito tali diritti. Io non lo credo, senza però criminalizzare una delle due vittime di questa strage quotidiana: la futura madre, vittima di se stessa, della sua disperazione, della sua solitudine, della sua impreparazione. Una vittima a cui il “Centro di aiuto alla vita” offre il suo aiuto, senza giudicare, con discrezione, per il bene di tutti, della donna che sta per consentire a un medico (medicina, ossia “scienza che si occupa dello studio delle malattie, della loro prevenzione, diagnosi e terapia”) di premere il grilletto e della creatura che è vita sin dal suo concepimento, non sulla base di un credo cosiddetto religioso, ma per una semplice, oserei dire pleonastica, questione di buon senso: l’unione dell’ovulo con lo spermatozoo, che dà origine all’embrione, “stato precoce dello sviluppo di un organismo pluricellulare”, ossia vita al suo principio, che la legge (e parte della scienza!) afferma non essere vita fino alla 12° settimana. Domanda: e tutte quelle creature “aspirate” col metodo Karman dove finiscono? Neppure un funerale? No, naturalmente non si può fare il funerale a ciò che non è mai stato vivo.... e che io considero vivo, naturalmente.

domenica 5 ottobre 2008

L'Italia è fatta anche da questi uomini



Oggi ho visto questo pieghevole e immediatamente ho pensato al mio Blog, ho pensato alla nostra storia fatta di tante, troppe ombre, ma anche di Luci così intense che mai nessuno potrà spegnere, e questa non è retorica. E' la vita di don Puglisi, un uomo santo, indipendentemente dal credere o dal non credere. Invito alla lettura di questo intenso pieghevole e alla visita del sito http://www.padrepinopuglisi.net/. Grazie ad esso potrete, potremo, saperne di più, conoscere più a fondo un uomo che aveva la sola colpa di essere un uomo, forte della sua Fede. E ancora: il papa e la Sicilia, il delitto Puglisi, mafia e Vangelo incompatibili, ecc.

venerdì 3 ottobre 2008

Vale la pena di difendere questo Stato?



Questo lungo articolo apparso sul settimanale “Epoca” il 05 aprile 1978 è di grande interesse per tutta una serie di ragioni: le frammentarie informazioni che emergono dalle indagini delle forze dell’ordine, il dubbio che la nota, tristemente nota, foto di Aldo Moro nel “carcere del popolo” possa essere un montaggio e, elemento di grande valore morale, “la polemica sul ruolo degli intellettuali” durante i giorni del sequestro". “Vale la pena di difendere questo Stato?”, ci si domanda. E’ una domanda apparentemente assurda: certo che vale la pena! Lo Stato contro i terroristi, la scelta è chiara, no? E se la risposta non fosse così chiara, così netta, pur aborrendo i metodi delle BR? E se la risposta non fosse o bianco o nero? “Con mezzi terroristici – scrive l’acuto ed introspettivo Leonardo Sciascia – polemizzando col mio silenzio, vogliono che io dica o che bisogna difendere questo Stato così com'è, o che hanno ragione le Brigate Rosse. Tutta la mia vita, tutto quello che ho pensato e scritto, dicono che non posso stare dalla parte delle Brigate Rosse. E in quanto a riconoscermi nello Stato così com’è (e sarebbe più esatto dire com'era fino al rapimento dell'onorevole Moro), continuo a dire di no”. Leggendo le analisi, i commenti, le affermazioni contenute nell’articolo di Raffaello Uboldi, penso all’uomo Aldo Moro nella sua “cella”, vittima di una politica molto probabilmente impensabile, in quel contesto politico interno e soprattutto internazionale. Penso all’uomo, alle sue lettere, al nipotino Luca, al suo desiderio di Luce, di uno spiraglio… pensieri lontani dalla politica… oppure no? Uomo o Stato? Per Cirillo si privilegiò l’uomo… per Moro quello Stato in cui Sciascia non si riconosceva e che, profeticamente, comprese che l’affaire Moro avrebbe segnato uno spartiacque tra il prima e il dopo.

mercoledì 17 settembre 2008

Idrolitina e Galateo "moderno"...



Mi ha colpito questa pubblicità della mitica (mitica per chi la ricorda e l'ha gustata, come il sottoscritto) idrolitina, con tanto di consigli... non per l'uso, ma per un corretto comportamento con il "personale di servizio" e l'emergenza "stuzzicadenti"!
Quadretti di un'altra Italia (osservate le due immagini, specialmente l'atteggiamento velatamente deferente della "donna di servizio" nei confronti della padrona di casa), direttamente dal 1957 ("Epoca" del 18.08.57).

Insolite immagini presidenziali...

Immagini inusuali del Presidente della Repubblica Gronchi durante un momento di riposo (tratto dal settimanale "Epoca" del 18 agosto 1957)

Informazione e terrorismo direttamente dal 1978...

Direttamente dal 1978, proprio nei giorni del sequestro di Aldo Moro (l'articolo è tratto dal settimanale "Epoca" del 5 aprile 1978), un argomento che divise le coscienze: i comunicati delle BR vanno o non vanno pubblicati? E' lecito, oltrechè saggio, in un clima di guerra, pubblicare i comunicati del nemico? Vittorio Gorresio risponde, a mio parere nella maniera opportuna, a questo importante quesito morale.
Mano a mano che procedo lungo il difficile cammino intrapreso con questo Blog, mi rendo sempre più conto che il passato toccato con mano, anche soltanto attraverso un settimanale, è un passato che in qualche modo rivive sonoramente, particolari del nostro Paese che hanno il sapore, l'odore - o il profumo, dipende dai contesti - di ciò che siamo stati.

martedì 5 agosto 2008

"I miei morti"...


I due libri ritratti nell'immagine li avevo già segnalati nel post del 20 luglio, "destra estrema e criminale: un mondo poco conosciuto", ma in questo post vorrei evidenziare - e caldamente suggerirne la lettura - quanto emerge da due opere nettamente differenti, ma ugualmente toccanti, per alcuni versi persino in grado di disturbare, mai di indignare, come spesso mi accade quando sento (e sentivo, negli anni '90) parlare alcuni ex BR di superamento, confronto politico, ecc., il tutto come se i loro morti fossero stati una sorta di incidente di percorso sulla via della loro battaglia politico-rivoluzionaria.
"I terroristi della porta accanto" è un lavoro che definirei psicologico, a tratti intimistico.
"Storia nera" è invece un'opera più di inchiesta, seppur non disdegni il lato psicologico di determinate scelte criminali che tanta sofferenza hanno riversato sul nostro Paese.
Entrambe le opere ripercorrono la vita e le imprese degli ex terroristi Nar Valerio Fioravanti e Francesca Mambro. Per fornire un assaggio (fors'anche un pugno nello stomaco) a coloro i quali non hanno mai letto questi due ottimi lavori, riporto un breve passo tratto da "I terroristi della porta accanto", dove Valerio Fioravanti parla dei "suoi" morti, e lo fa con agghiacciante sincerità e limpida introspezione. Tutt'altra caratura umana rispetto alle difficilmente qualificabili dichiarazioni dell'ex BR Raffaele Fiore (ved. miei 3 post del 24, 27 e 29 maggio 2008), che nessuno ha avvisato (visto che lui non se n'è accorto) della fine degli anni di piombo! Se più volte ho ribadito che le vittime di quella sanguinosa stagione storica hanno avuto spazi risicati per esprimere il loro dolore e il loro punto di vista, non intendevo certo affermare che la voce dei terroristi non significhi nulla e non sia utile alla comprensione di un fenomeno storico che ha indelebilmente segnato l'Italia. La loro voce è fondamentale per capire, come lo è la voce di tutti gli attori di un epoca storica. E' che tutti avrebbero dovuto avere il diritto di parola e di replica, cosa che le vittime del terrorismo non hanno avuto, lasciando il campo libero (non certo per una spontanea scelta) agli ex rivoluzionari pentiti, dissociati, ecc.
La vicenda dei Nar, ricostruita nei due volumi, è una vicenda costellata da una violenza giovanile che colpisce per efferatezza e follia patologica di una generazione, che Valerio Fioravanti e Francesca Mambro hanno cercato, e credo vi siano riusciti, di spiegare con rispetto per la storia e per i morti, tutti, i loro amici e le vittime di quella follia.
Inoltre, mi riferisco a "Storia Nera", il giornalista Andrea Colombo assieme ai due ex Nar traccia una contro inchiesta sulla strage di Bologna, l'unica in Italia ad avere un colpevole.... peccato che non è quello giusto. Buona lettura!

lunedì 4 agosto 2008

La cultura e i telequiz

Interessante articolo, tratto dalla "Domenica del Corriere" del 4 agosto 1970. Naturalmente, il confronto con la realtà televisiva odierna è d'obbligo.

giovedì 31 luglio 2008

Quante vittime in Italia, anche vittime delle sette....

"Oggi, in Italia, ci troviamo di fronte a questa realtà, ovvero a migliaia di persone private del loro diritto di essere uomini, donne e, purtroppo, bambini, il tutto "grazie" a tecniche di condizionamento mentale e psicologico ormai conosciute e conclamate da anni." (prof. Francesco Bruno)
"Questo libro vuole essere scomodo. Vuole aprire una breccia nella conoscenza collettiva, che non è abituata ad ascoltare storie al limite del comprensibile, testimonianze quasi incredibili a causa della loro atrocità." (Caterina Boschetti, l'autrice)
Imbarcandomi nella realizzazione di questo Blog mi sono sentito moralmente in dovere, desiderando dialogare sulla Storia italiana, di segnalare il sito http://www.favis.org/main.html, un sito che nell'immagine usale che si ha della Storia, poco ci azzecca con la Storia stessa: l'Associazione Nazionale Familiari delle Vittime delle Sette. E invece no! Siamo abituati (ci hanno abituati e non molti si sono ribellati a questa abitudine) a considerare la Storia come un evento collettivo unicamente se raccontato, se veicolato attraverso lo scatolone della televisione, scatolone peraltro non negativo di per sè, intendiamoci. Insomma, se cade un albero in Amazzonia (ammesso che ce ne siano ancora) nessuno se ne accorge e quindi l'albero non è mai caduto. E invece è caduto, come tante vittime silenziose di questo sofferto Paese, il nostro. E' incredibile: negli anni '80 e '90, sconfitto il terrorismo, i vinti hanno avuto tutto lo spazio per parlare e le vittime che rappresentavano il vincitore (ossia lo Stato) non hanno avuto parte in casusa nella condivisione e nel superamento di quel terribile periodo che genericamente ricordiamo come "strategia della tensione" e "anni di piombo". Se non ci fossero stati così tanti morti e così tanti orfani e vedove, verrebbe da sorridere: di solito, alla fine di una guerra, i perdenti trascorrono una stagione della loro esistenza in silenzio, zittiti dalla sconfitta. Invece, con la lotta al terrorismo, specie di estrema sinistra, gli stessi terroristi, dopo essere stati sconfitti, hanno chiesto di superare una stagione definitivamente chiusa, ecc. ecc. e lo Stato, quello Stato così intransigente durante la lotta (vedi il caso Moro; il caso di Ciro Cirillo, invece, è tutta un'altra storia, segnata da una intransigenza un tantino più elastica rispetto a quella adottata con l'on. Moro...) si è dimostrato tanto magnanimo durante la pace. Ma ci sono altre vittime in Italia! Altre vittime sommerse, da salvare. E la giornalista Caterina Boschetti http://www.caterinaboschetti.it ci ha offerto un'opera che merita la massima diffusione: cliccate sull'immagine e leggete. E' la storia di persone che sono fuoriuscite dalla follia di una spiritualità che spiritualità non è, di una religione che è schiavitù, dipendenza... ma da cosa? da chi? per cosa? Persone uscite fuori, nuovamente alla Luce. E' anche questa Storia italiana, quella storia che viene fuori unicamente quando scoppia la bomba, vedi, ad esempio, il caso delle "Bestie di Satana". Il sito della stessa Caterina Boschetti merita assolutamente una visita, anche per conoscere, attraverso i rimandi segnalati nella sezione Link e Partner, una Storia italiana non così diffusa, non così conosciuta, tanto a me mai potrà capitare di finire in certi giri....

domenica 20 luglio 2008

Destra estrema e criminale: un mondo poco conosciuto...

Negli ultimi anni si è discusso, e si discute - con modesta eco mediatica, a dire il vero - sul dolore, sulla sofferenza delle vittime del terrorismo. Lo si è fatto anche su questo blog.
Paradossalmente, in questo assordante e strumentale silenzio degli innocenti - volendo riprendere il titolo del libro di Fasanella e Grippo, consigliato in questo blog nel post del 10 giugno '08 - le vittime del terrorismo più fortunate (e sottolineo il corsivo) sono quelle di sinistra, non perchè abbiano avuto più occasione di farsi sentire rispetto a quelle causate dal terrorismo cosiddetto nero, ma in quanto il terrorismo rosso (e, indirettamente, le sue vittime ovvero nome-cognome-professione-data dell'assassinio e poco altro ancora...) ha avuto ampio spazio per dibattiti, libri, interviste e quant'altro. Tuttavia, in questo Paese dalla memoria selettiva, incapace di ricordare ed analizzare a 360°, esiste un altro universo, altrettanto drammatico, conflittuale e complesso, poco trattato, poco spiegato, poco considerato, tanto, implicitamente, è ancor più colpevole dell'altro, di quello rosso. E' il mondo dei fascisti, dei fasci, della destra estrema e criminale, quella extraparlamentare che considerava il MSI e la sua politica troppo pantofolaia. E' una realtà politica, sociale e culturale che è stata protagonista (assieme all'altra, da alcuni, al principio, chiamata "i compagni che sbagliano"; gli altri, invece, erano solo fasci, e tanto basta) di quella guerra civile (in qualche modo civile) che va sotto il nome di anni di piompo, nel terribile ruolo di carnefice e vittima. Questo mondo è stato spesso associato allo stragismo (il brigatista, tanto per intenderci, spara al simbolo; il terrorista di destra è stragista ed immancabilmente legato ai settori deviati dello stato, servizi segreti in testa), ma la realtà è molto più complessa, ramificata, stratificata e diversificata (soprattutto diversificata) rispetto ad una lettura semplicistica e poco incline all'autentica analisi. Questo Paese, ahimè, sembra poco interessato a ricordare, nella sua globalità, il doloroso passato che l'ha sconvolto. Suggerisco quindi alcuni testi, attraverso i quali si avrà modo di ricostruire un'epoca non ancora lasciata alle spalle (come per molti italiani lo fu la guerra civile '43-'45) per via dello sciagurato viziaccio di non affontare mai il passato, se non in funzione politica e quindi strumentale, inutile, dannosa per tutti.
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Testi suggeriti:
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Storia dei servizi segreti in Italia, di Giuseppe De Lutiis, Roma, Editori Riuniti, 1984;
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Piazza Fontana, di Fabrizio Calvi, Frederic Laurent, Milano, Mondadori, 1997;
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Foto di gruppo da Piazza Fontana, Milano, Melampo Editore, 2005;
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Cuori Neri, di Luca Talese, Milano, Sperling & Kupfer Editori, 2006;
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Storia Nera, di Andrea Colombo, Milano, Cairo Editore, 2007;
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I terroristi della porta accanto, di Piero A. Corsini, Roma, Newton Compton Editori, 2007;
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Destra estrema e criminale, di Mario Caprara, Gianluca Semprini, Newton Compton Editori, 2007;
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Segreti di Stato, di Sandro Neri, Roma, Aliberti Editore, 2008;
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La sottile linea nera, di Mimmo Franzinelli, Milano, Rizzoli, 2008.

lunedì 14 luglio 2008

Vittorio De Sica si "confessa"...




Un piccolo omaggio ad un grande artista italiano, tratto da "Grand Hotel" del 9 giugno 1956.

lunedì 7 luglio 2008

Cosa fare con questi figli? Consigli e perplessità direttamente dal 1951


Se nel post del 18 giugno si è toccato l’argomento figli/educazione calato nel contesto di fine anni ’60, oggi propongo una lettera di un lettore della rivista “Epoca” del 9 giugno 1951 e le relative risposte di un direttore di scuola elementare, di un giudice del tribunale dei minori, di un impiegato, di una pittrice. I toni e gli argomenti, persino la forma, sono, ovviamente, distanti dall’articolo “Il bambino programmato” del 7 aprile 1970 (post del 18 giugno). Leggendo lettera e risposte, vecchie di quasi 60 anni, mi rendo conto che malgrado il trascorrere del tempo e il susseguirsi delle generazioni, la storia dell’educazione nel nostro Paese non è, come dire, compartimentata, divisa in blocchi rappresentati dalle varie epoche, pre e post ’68, volendo tracciare un’ideale spartiacque tra due concezioni della vita, della società, dei rapporti, ecc. Leggendo la breve lettera e i 4 interventi, ho rivisto storie familiari concrete, vissute attorno a me. Insomma, il passato che non viene mai del tutto superato. Sacche di resistenza non in asse coi tempi, a prescindere dalla bontà o meno del presente e del passato. 1951, 2008: epoche così lontane da risultare impossibile un accostamento, seppur minimo, eppure la lettera e le 4 risposte contengono molti elementi sui quali riflettere, allora come oggi e, pre o post ’68 a parte, una serena, equilibrata e non strumentale lettura del passato può condurci a delle riflessioni tutt’altro che datate.

lunedì 23 giugno 2008

Ricordando il papà di Cocco Bill

Tre tavole del grande Jacovitti (al secolo Benito Franco Jacovitti, 1923-1997), tratte dalla “Domenica del Corriere” della fine degli anni ’60. Quale maniera migliore per ricordare questo indimenticabile artista italiano, se non il piacere di rileggere e, soprattutto, rivedere le sue simpatiche e taglienti tavole? Invito tutti a visitare anche il sito ufficiale di Jacovitti: "... Jacovitti e' stato paragonato a Esher e a Bosch. In Francia lo chiamano il Disney europeo. Un maestro dell'assurdo, un 'estremista di centro', che ha sempre dimostrato grande liberta' e indipendenza dal potere, principale oggetto dei suoi sberleffi. Un aggressivo burlone capace di scherzare su tutto e su tutti. Un disegnatore e sceneggiatore che ha giocato con il linguaggio come un bambino che prende a martellate il trenino nuovo che gli ha regalato papa'. Un funambolo in equilibrio sulla matita. Maestro di grafica, di follia universale, di nonsenso, di liberta', di sommessa anarchia. Creatore di un universo originale e irripetibile dove tutto e' possibile. Un uomo dal cuore grande, che si definiva un clown, e che riusciva a far ridere anche quando era triste. Un maestro. E a noi piace pensare che il 3 dicembre 1997, lui, insieme alla sua amatissima moglie Lilli, si sia nascosto in mezzo ai suoi mille personaggi, e che da li' ci guardi divertito, quando ci perdiamo nella lettura delle sue affollatissime tavole."

mercoledì 18 giugno 2008

Là dove c'era l'erba ora c'è una città...

Chi è stato bambino negli anni ’70 non può non ricordare questa fotografia, gli scenari che essa evoca. Pubblicata nell’articolo “Il bambino programmato” (“Domenica del Corriere”, n.14 del 07/04/70) è una foto che proietta indietro gli ex bambini oggi quarantenni. Ricordo perfettamente questi giardini senza erba, ricordo le urla di noi bambini, i giochi, l’altalena, la settimana, le liti tra i maschi e le femmine, le ginocchia sbucciate e la tintura di iodio per rimetterci in pista e così ripartire per nuove avventure. Ricordo i cortili dei palazzi, dove vivevano centinaia di famiglie, piemontesi, venete e meridionali. Ricordo le differenti merende: io, piemontese, pane e marmellata; il mio compagno di giochi, di origine siciliana, pugliese o calabrese, una pagnotta per me chilometrica, imbottita di mortadella o di olio & pomodoro. Era una Torino che imparava a crescere insieme. Non più meridionali costretti a vivere in stanze fatiscenti, appena arrivati dal Sud. Era una Torino con i palazzi costruiti pochi anni prima, condomini con alloggi vivibili, il bagno interno, fino a pochi anni prima un sogno. Era una Torino, dicevo, che imparava a crescere insieme e talvolta non era facile, talvolta si ingenerava persino un razzismo al contrario, e faceva male, come tutti i razzismi. Ricordo le pallonate contro i muri, le corse, i vari nascondino, la settimana, il gioco del fazzoletto oppure “l’orologio di Milano fa tic tac”… tutti all’insegna del cemento, del micromondo costituito da un grigio cortile (grigio l’ho aggiunto soltanto in seguito, allora era il mio mondo di bambino tutto sommato felice) e dal ricordo di un mondo complesso, arrabbiato, al tempo incomprensibile ma percepito, sicuramente, con un ché di disagio. Era un’Italia che ricordo con piacere (perché ero bambino in una famiglia a cui devo molto), con disagio (certe immagini di tensione e violenza le ricordo ancora adesso), con curiosità (la “tivì” mi affascinava, ricordo le “prove tecniche di trasmissione”; i fascicoli “Le mie ricerche”; il cartoccio del latte a piramide; l’acqua che faceva le bollicine con la mitica polverina…), ma mai con nostalgia. E’ un modo per ricordarla meglio, per quanto possibile.

Il bambino che sono (siamo) stato... (2/2)


Conclusione dell'articolo "Il bambino programmato" (ved. post precedente), "Domenica del Corriere", 7 aprile 1970.

Il bambino che sono (siamo) stato... (1/2)



Il bambino programmato” è un articolo pubblicato il 7 aprile 1970 sulla “Domenica del Corriere”. Essendo nato nel 1967 ho letto questo pezzo con un interesse particolare, cercando di trovare in ogni rigo un accenno, seppur indiretto, ai miei genitori, al mio passato, all’educazione che ho ricevuto. Il risultato è stato, lo dico senza alcuna enfasi, sconvolgente per quanto mi sono ritrovato e per quanto certe tappe della biologia, a sentire i “futurologi”, porteranno (siamo nel 1970) a “programmare le doti delle generazioni future”… discorsi farneticanti che a volte ritornano. Assurdità a parte, ciò che colpisce in questo articolo (pubblicato in 2 post) è la sintetica, ma decisamente efficace capacità d’analisi di un modo di concepire e vivere la famiglia, “reazionaria” prima, “democratica” poi. Definizioni a parte, che risentono del clima post ’68, l’autore dello scritto propone delle spiegazioni alla solitudine e alla insicurezza che già allora si stava insinuando nelle nuove generazioni, nate nella cosiddetta società dei consumi. Come già scritto in altri post, la lettura del nostro passato è fondamentale per comprendere il nostro presente e sentire, quasi toccare con mano, quel ponte che unisce (o, paradossalmente, divide) epoche e generazioni.

Lo sfogo della senatrice Merlin

Tratto sempre da “L’Europeo” n.4, ottobre 2002, “Cinquant’anni di eros e tabù”, che riporta un pezzo pubblicato su “L’Europeo”, n.30 del 1963. E’ la replica della senatrice socialista alle accuse rivolte alla sua legge. Ciclicamente si parla di riapertura delle “case chiuse”. E’ un tema così complesso (implicazioni morali, logistiche, ecc.) che pensare di togliere le prostitute dalle strade per trasferirle in case più o meno aperte deve essere attentamente soppesato in ogni suo aspetto (etico e pratico), confrontandosi con la legge Merlin e la situazione precedente alla stessa, così da evitare leggi frettolose o talmente imperfette da risultare infruttuose, se non inattuabili.

Chiusura delle "case chiuse": la legge e le sue conseguenze

Mi sono già occupato, seppur brevemente, di questo spinoso e sempre attuale problema: nei post del 25 e del 26 aprile 2008. Ora propongo questo articolo tratto da "L'Europeo", n.38 del 1958 (pubblicato su “L’Europeo" n.4, ottobre 2002, “Cinquant’anni di eros e tabù”), anno di chiusura delle cosiddette “case chiuse”. Gettare fango, a priori, sulla legge Merlin e sulla stessa senatrice Merlin è sinonimo di superficialità, e in questo senso il pezzo è di indubbio interesse. Merita davvero di essere letto con attenzione, tenendo sempre un occhio al passato e uno al presente che, in tema di prostituzione, è davvero un presente triste e squallido. “Fino a che punto siamo preparati per fronteggiarne le conseguenze?” (della chiusura) si chiedeva, giustamente, il giornalista. Oggi invece dovremmo chiederci: fino a che punto siamo preparati per fronteggiare il caos esistente? E in quale modo contenerlo? Sì, contenerlo, perché un simile problema è cronico nella storia dell’umanità e quindi pensare di risolverlo è pura demagogia.

martedì 10 giugno 2008

Vittime, questi sconosciuti...

Salvatore accenna, commentando il mio post 3/3 sull'ex BR Raffaele Fiore (post del 29/05/08), alla scarsa memorialistica sulle vittime del terrorismo rosso e nero. Mi sembra doveroso elencare quattro recenti lavori sull'argomento:
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I silenzi degli innocenti di Giovanni Fasanella, Antonella Grippo, Milano, BUR, 2006;
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Spingendo la notte piu in la: storia della mia famiglia e di altre vittime del terrorismo di Mario Calabresi, Milano, A. Mondadori, 2007;
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L'attentato di Andrea Casalegno, Milano, Chiarelettere, 2008;
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Il piombo e il silenzio: le vittime del terrorismo in Italia (1967-2003) di Renzo Agasso, Domenico Agasso Jr., Cinisello Balsamo, San Paolo, 2008
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“Uccisi due volte. Dal piombo, prima. Dal silenzio, poi. Sono le vittime del terrorismo rosso e nero. 170 morti. Caduti di una guerra dichiarata da una sola parte. Rischiano di venir ammazzati una terza volta. Dall’arroganza degli assassini e dall’oblio dei giusti.” Così inizia il libro di Agasso e Agasso jr. , con una potente e durissima requisitoria che precede la presentazione, in ordine cronologico, di tutte le vittime delle stragi e degli attentati per terrorismo in Italia dal 1967 al 2003, anno in cui viene registrata l’ultima uccisione. Anno per anno, le brevi storie dei caduti, scorrono formando un elenco impressionante, fedelmente ricomposto per non dimenticare, nell’anno del 30° anniversario dell’omicidio di Aldo Moro, quando tutti faranno finta di ricordare e celebrare, per poi lasciare i familiari di nuovo da soli." (recensione dell'opera di Agasso, tratta dal sito delle Edizioni San Paolo)

lunedì 9 giugno 2008

Il poliziottesco - filone riscoperto

Il ricordo personale degli anni '70, via via che il tempo passa, è sempre più nitido, malgrado le naturali deformazioni che produce il ricordo stesso e, soprattutto, malgrado i limiti anagrafici della mia persona, essendo nato nel 1967. Ricordi che affiorano, come i controlli della polizia, specialmente nei confronti dei giovani (ricordo perfettamente una camionetta della Celere fognare dei giovani, gambe larghe e mani al muro, in corso Francia, non lontano da Piazza Rivoli), come i colori (i vestiti, le tappezzerie, le pubblicità, i divani, i piatti, ecc.), le forme degli oggetti, la mania per la plastica, i tram (verdi, un verde orribile!) e le auto della polizia, magnifici modellini per un bambino di 5-10 anni. E, perchè no, le minigonne, così come i cartelloni pubblicitari (la Peroni...). Non voglio scadere nella stupidaggine dei "bei tempi!" semplicemente perchè essi rappresentano il mio/nostro passato che, nel caso sia stato lieto, genera quel sentimento chiamato nostalgia. Cerco soltanto di ricordare, nel modo più onesto possibile, intellettualmente parlando. I miei '70 sono stati anni felici, ma rileggendo i quaderni delle elementari e facendo un serio esercizio di memoria sento che la realtà di quegli anni mi ha comunque lasciato qualcosa dentro, qualcosa di indefinito, qualcosa che perdura, come l'amaro in bocca. Un senso di grigiore per certe immagini che ancor oggi vedo con gli occhi della mente: gli anni di piombo, il giovane o la giovane arrestati perchè appartenevano alle BR (potevano essere anche di Prima Linea, ma col termine BR si classificava il terrorismo rosso in genere) eppure quei giovani "sembravano così tanto per bene, mai si sarebbe detto..."; le facce dei nostri politici in bianco e nero, come il televisore ce le proiettava o, tutt'al più, colorate da quelle orribili lastre in plastica colorata (sfumata) che si piazzavano davanti allo schermo del televisore stesso per dare l'idea del colore... ma chi le ha inventate??? Il sequestro Moro, la strage di via Fani, che per me suonava come una parola solo per adulti... via Fani... terribile, malgrado non comprendessi la reale portata della tragedia collettiva. Ricordo i posti di blocco, i controlli dei documenti, ricordo la Renault rossa, che allora era bianca e nera, almeno a casa mia.... ancora oggi la Renault rossa mi trasmette un senso di morte e di cristiana pietà al contempo. I murales di protesta, giovani in protesta, lavoratori in protesta... graffiti industriali, archeologia metropolitana... dietro ad una selva di rampicanti, in via Caluso a Rivoli (pochi Km da Torino) forse oggi sono in pochi a ricordare che quel lungo muro della tangenziale custodisce quei graffiti e chissà che qualcuno, in futuro, li preservi come simboli, tracce di un'epoca della nostra storia ormai finita sui testi scolastici.
E in quest'ondata di ricordi si inseriscono anche i cosiddetti "poliziotteschi", quello che in Italia viene chiamato il "cinema di genere" assieme ai thriller all'italiana e all'horror nostrano. Mi correggo: i "poliziotteschi" non sono un ricordo vero e proprio, se non per il fatto che ricordo mio padre che li andava a vedere e mi colpivano le locandine davanti ai cinema. Tuttavia, grazie alla riscoperta (meglio dire scoperta) dei "poliziotteschi", la mia memoria viene stimolata in una maniera incredibile. Quelle immagini (gli interni, i vestiti, gli oggetti, le pubblicità, ecc.) hanno e stanno stimolando tutti quei ricordi che apparentemente avevo rimosso. Essi riemergono, vivi come non mai! Assieme alla soddisfazione personale, devo dire che la visione di queste pellicole (alcune con dei titoli oggi improponibili) è di estremo interesse per ciò che veicolano, non dimenticandoci mai dell'aspetto commerciale (in quegli anni tiravano, quindi se ne producevano a iosa, poco importa il messaggio). Pellicole violente, in alcuni casi grottesche, in altri semplici scopiazzature con una trama e dei dialoghi a dir poco improbabili. Generici richiami all'ordine costituito, impotenza della legge nei confronti dell'ondata di violenza, pistolotti pseudo-moraleggianti... tutto quello che volete metterci di negativo mettetecelo, ma vanno comunque riscoperti, non semplicemente "bocciati" come farebbe, e ha fatto, una critica frettolosa, forse poco attenta, fors'anche un po' "snob". Anche all'interno di questo "genere" c'è la serie A, la serie B, la serie C, se non peggio. Certe pellicole sono inguardabili, altre riescono ad intrattenere lo spettatore grazie a magnifici inseguimenti tra le mitiche "Alfa Romeo Giulia" della polizia e la pletora di banditi, killers e quant'altro impersonati da, due nomi fra tanti, Tomas Milian e Ray Lovelock. Altre ancora ci offrono ambientazioni grigie, esteriormente ed interiormente grigie, dialoghi e tratti umani, se non psicologici, da recuperare come una delle tante espressioni artistiche di un decennio (fine anni '60-primissimi '80) decisamente complesso, volendo usare un eufemismo. Mi permetto di consigliarvi due siti (già segnalati in questo mio Blog nella sezione "Gli anni '70, siti consigliati") che considero di grande valore: http://www.caniarrabbiati.it/ e http://www.pollanetsquad.it/
Sono siti da sfogliare come un ottimo dizionario, un po' alla volta.
"Cani arrabbiati" ha una stupenda sezione, "recensioni", ben commentata!
"Pollanetsquad" è focalizzato sul "poliziottesco": interessante l'aver riportato, non sempre ahimè, ma spesso, la critica cinematografica apparsa sui giornali dell'epoca all'uscita dei films. E' un buon esercizio per toccare con mano critiche che oggi potremmo ancora condividere oppure no.
Consiglio anche questi due riferimenti per quanto riguarda il "poliziottesco":