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mercoledì 18 giugno 2008

Là dove c'era l'erba ora c'è una città...

Chi è stato bambino negli anni ’70 non può non ricordare questa fotografia, gli scenari che essa evoca. Pubblicata nell’articolo “Il bambino programmato” (“Domenica del Corriere”, n.14 del 07/04/70) è una foto che proietta indietro gli ex bambini oggi quarantenni. Ricordo perfettamente questi giardini senza erba, ricordo le urla di noi bambini, i giochi, l’altalena, la settimana, le liti tra i maschi e le femmine, le ginocchia sbucciate e la tintura di iodio per rimetterci in pista e così ripartire per nuove avventure. Ricordo i cortili dei palazzi, dove vivevano centinaia di famiglie, piemontesi, venete e meridionali. Ricordo le differenti merende: io, piemontese, pane e marmellata; il mio compagno di giochi, di origine siciliana, pugliese o calabrese, una pagnotta per me chilometrica, imbottita di mortadella o di olio & pomodoro. Era una Torino che imparava a crescere insieme. Non più meridionali costretti a vivere in stanze fatiscenti, appena arrivati dal Sud. Era una Torino con i palazzi costruiti pochi anni prima, condomini con alloggi vivibili, il bagno interno, fino a pochi anni prima un sogno. Era una Torino, dicevo, che imparava a crescere insieme e talvolta non era facile, talvolta si ingenerava persino un razzismo al contrario, e faceva male, come tutti i razzismi. Ricordo le pallonate contro i muri, le corse, i vari nascondino, la settimana, il gioco del fazzoletto oppure “l’orologio di Milano fa tic tac”… tutti all’insegna del cemento, del micromondo costituito da un grigio cortile (grigio l’ho aggiunto soltanto in seguito, allora era il mio mondo di bambino tutto sommato felice) e dal ricordo di un mondo complesso, arrabbiato, al tempo incomprensibile ma percepito, sicuramente, con un ché di disagio. Era un’Italia che ricordo con piacere (perché ero bambino in una famiglia a cui devo molto), con disagio (certe immagini di tensione e violenza le ricordo ancora adesso), con curiosità (la “tivì” mi affascinava, ricordo le “prove tecniche di trasmissione”; i fascicoli “Le mie ricerche”; il cartoccio del latte a piramide; l’acqua che faceva le bollicine con la mitica polverina…), ma mai con nostalgia. E’ un modo per ricordarla meglio, per quanto possibile.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Anche io sono nato in quegli anni ('66) e mi identifico con quanto scrivi e con la foto, che "parla" moltissimo di quell'infanzia. Aggiungo, pensando alla scuola, il grembiule per maschi e femmine, con tanto di fiocco, la lavagna e il cancellino, che chiamavamo "girella", per via della sua forma così somigliante alla merendina!
Grazie per questo bel blog.

Carlo M.

Anonimo ha detto...

Generalmente la storia ci viene troppo spesso presentata dall'attico, quasi ci si dimenticasse che nei piani inferiori quella stessa storia viene, più o meno coscientemente, subita e/o condivisa. Voglio dire questo: fondamentale è lo studio, l'analisi di un'epoca, e qui certamente il mondo accedemico ha gli strumenti adatti per farlo, ma altrettando fondamentale è la fotografia di quell'epoca, dall'alto in basso, da destra a sinistra, persino trasversalmente, anche attraverso la presentazione, la rievocazione oserei dire, di tutte quelle componenti materiali dell'epoca studiata: gli oggetti, i giocattoli, l'arte, la televisione, la moda, l'uomorismo e quant'altro. Altrimenti la storia è solo un testo piatto, tutt'altro che tridimensionale, vero, autentico, come lo siamo noi che stiamo vivendo la nostra storia e speriamo che chi ci studierà saprà farci "rivivere" per comprenderci.
Giovanni R., Novara