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domenica 27 aprile 2008

Un uomo e un caso da non dimenticare






Questa storia l'ho incontrata da adolescente, essendo un amante di quel grande interprete che è stato Nino Manfredi. "Girolimoni il mostro di Roma", un film che mi ha colpito per l'intensità, l'ambientazione, il commento musicale. "Storia in Rete", a 80 anni dai fatti, mi ha dato la possibilità di ricordare uno dei più scandalosi e macroscopici errori investigativi che il nostro Paese ricordi e, essendo questo un Paese con la memoria corta, ci è sembrato giusto, oltre che doveroso, ricordare la tragedia di un cittadino innocente, Gino Girolimoni, accusato di aver seviziato ed assassinato cinque bambine romane in un arco temporale compreso fra il marzo del ’24 ed il marzo del ’27. Arrestato e fatto letteralmente a pezzi da inquirenti, stampa e popolo, nel marzo del 1928 venne ufficialmente prosciolto da ogni addebito: il “mostro” di Roma non era lui. Assolto, ma in sordina, senza il clamore con il quale era stato mediaticamente linciato. La vita di "sor Gino" divenne un inferno in terra. Come cristiano so quale immenso premio avrà ricevuto nel momento in cui si trovò al cospetto di Dio, ma come cittadino italiano – e, quindi, anche come credente – questa riparazione non è sufficiente. Ho sempre provato un’autentica angoscia nei confronti di coloro i quali hanno pagato per colpe non proprie, in carcere oppure liberi, ma segnati da un’infamia cucitagli addosso quasi fosse un indelebile marchio impresso a caldo. Si è detto e si dirà che il caso di Girolimoni è stato un prodotto della giustizia totalitaria: vi è del vero in questa considerazione, ma essa non chiude e non scarica le palesi responsabilità della giustizia italiana di allora. Il caso Girolimoni (che diventa caso a sé, avulso dalle indagini atte ad assicurare alla giustizia l’effettivo “mostro”, e su questo aspetto le memorie del commissario Dosi parlano chiaro) è un caso italiano, che percorre trasversalmente il nostro Paese, senza aver generato o generare azioni o reazioni atte a chiudere formalmente un capitolo indegno della storia della convivenza civile in Italia. Ciò che personalmente mi sconvolge – cito testualmente le parole di un mio conoscente, con il quale ho affrontato questo argomento – é che “un’ingiustizia perpetrata da un regime oppressivo non sia stata riparata quando tale regime cadde e l’accusato non fu mai né ufficialmente riabilitato né indennizzato.”
Scrivere l'articolo su Girolimoni non è stato facile, per un triplice ordine di ragioni: trattare il tema pedofilia è intimamente straziante; pensare, come cristiano, che il probabile assassino fosse un pastore, non può che generare rabbia e disgusto; immaginare quale possa essere stata l’esistenza del povero Girolimoni dovrebbe farci immedesimare, tutti, nei travagli, nei patimenti, nel senso di sospettoso, feroce isolamento in cui visse per 33 lunghi anni (quale numero più appropriato…) un essere umano condannato all’inferno terreno per “non aver commesso il fatto”. E’ dunque per queste ragioni – civili ed umanitarie – che il 18 marzo u.s. mi sono rivolto, tramite missiva, alla Presidenza della Repubblica.
Mi sono permesso di - cito testualmente - "domandarle un suo intervento diretto affinchè la figura di Gino Girolimoni possa essere pubblicamente riabilitata dalla sua Presidenza (sia in veste di Capo dello Stato che di Presidente del CSM) e perché a Girolimoni sia dedicata una via di Roma e venga apposta una semplice targa al n° 30 del Lungotevere degli Artigiani, ultima dimora di “Gino Girolimoni, 1889-1961, martire dell’ingiustizia umana”."
Confido in una risposta ufficiale. Vi terrò aggiornati in merito.
Desidero infine ricordare altri tre casi di malagiustizia, in questo caso repubblicana:
1- la condanna (confermata in Appello e Cassazione) di Fenaroli, Ghiani ed Inzolia, imputati il primo d'aver commissionato l'omicidio della moglie al fine di riscuoterne l'assicurazione sulla vita; il secondo d'essere stato il freddo killer che l'ha strangolata; il terzo d'essere stato il trait d'union fra i primi due. Malgrado sia stata stabilita una verità processuale, è fuori di dubbio che essa, già ad un'analisi superficiale, non possa assolutamente corrispondere all'effettivo svolgersi dei fatti criminosi che videro condannati tre innocenti. E' una storia pazzesca, sui cui torneremo;
2- la condanna e poi l'assoluzione dell'anarchico Pietro Valpreda, accusato e poi assolto per la strage di piazza Fontana;
3- la condanna e poi l'assoluzione del giornalista e conduttore televisivo Enzo Tortora, proiettato, come tutti sappiamo, in un vero e proprio incubo giudiziario che, seppur conclusosi in un'assoluzione piena, gli costerà la vita.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ho sempre provato un senso di dolore, una sorta di immedesimazione relativa alla vicenda di questo poveraccio che ha pagato con la vita una colpa altrui. Ho visto il film, ma il suo pezzo è stato sicuramente illuminante, perchè credo che la nuda e cruda cronaca sia più toccante e choccante rispetto alla reinterpretazione di un dramma reale. Grazie per aver scritto di quest'uomo.

Michele

Anonimo ha detto...

Anche Chi l'Ha visto? se ne è occupato. E' bene che la storia di questo "poveraccio" non venga dimenticata. Certo che anche il Presidente della Repubblica potrebbe, ufficialmente, riabilitarlo... se lo meriterebbe.

A.F.