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giovedì 29 maggio 2008

Raffaele Fiore, ex BR a via Fani: 30 anni dopo senza aver imparato nulla (3/3)

"Posso rispondere io qualcosa a questo energumeno qua?" domanda Maria Fida Moro a Claudio Brachino, dopo aver ascoltato l'intervista a Raffaele Fiore.
"Allora, PRIMO: noi siamo all'ergastolo e nessuno ci libererà. SECONDO: non si ride, parlando di queste cose terribili. TERZO: uno può rivendicare quello che gli pare e considerare che il dolore dei familiari delle vittime sia uguale al loro, ma non è uguale per una sola ragione: che loro si sono cacciati volontariamente in questa guerra e noi l'abbiamo subita. Ma io non sono una di quelle che ama la vendetta, però vorrei almeno che questo Paese così diseredato, il nostro, per il quale alle volte comincio a pensare che papà abbia fatto male a morire, cioè che non valesse proprio la pena di morire per questo degrado qua, consente due pesi e due misure che si articolano in tantissime manifestazioni di violenza e di sgarberia ancora adesso nei confronti della memoria di Aldo Moro. Quindi io dico: quand'è che l'Italia si stancherà di ucciderlo? Vuole qualche elenco di cose che succedono? L'Università di Bari che non gli vuole intitolare, alcuni non vogliono che sia dato il nome all'Università del Levante, Aldo Moro. O quelli che fanno la festa per ricordare i 60 anni della Costituzione dimenticano che Aldo Moro era un costituente? [...] Tante, tante cattiverie e sgarberie, violenze, bastoni fra le ruote, una vita impossibile per noi. Alcuni di noi hanno veramente deciso di andarsene: non avranno un trattamento preferenziale come i brigatisti; cionondimeno se ne andranno ugualmente."
E Claudio Martelli conclude, sottolineando come i concetti di Fiore siano stati espressi in "un certo tono, come dire, talmente superficiale da diventare quasi criminale, ancora una volta. Cioè, questa storia viene ridotta, da questo signor Fiore, a un fumetto. Non vedo nulla di drammatico e neanche, diciamo, una consapevolezza, neppure 30 anni dopo."
Che altro aggiungere alle parole piene di sacrosanta amarezza di Maria Fida Moro? E' vero: i familiari delle vere vittime sono condannati all'autentico ergastolo, ad una pena infinita. Loro, gli ex terroristi, hanno perduto la partita, sono stati sconfitti, processati e condannati eppure... eppure si ha l'impressione che siano loro ad aver vinto. In futuro avremo modo di risentire alcune loro dichiarazioni ed analisi (anni '80/'90), quando importanti settori della politica - che durante i 55 giorni del sequestro di Aldo Moro rifiutarono il dialogo coi terroristi - improvvisamente sentirono la necessità di confrontarsi con quegli stessi uomini che uccisero il Presidente della DC e sterminarono la sua scorta.
Paese diseredato ovvero privato dell'eredità... un Paese povero.

martedì 27 maggio 2008

Raffaele Fiore, ex BR a via Fani: 30 anni dopo senza aver imparato nulla (2/3)

Ed eccoci all'agghiacciante intervista all'ex BR Raffaele Fiore, andata in onda su TOP SECRET (Rete 4) il 1° maggio 2008.
"La storia - dice Fiore - si è chiusa da sé, poi ognuno in questa storia ne è uscito in qualche modo, insomma."
L'intervistatrice gli chiede se in lui vi è stata una riflessione od un pentimento. Fiore risponde: "una riflessione, una riflessione critica, non un pentimento."
"Di errori - prosegue Fiore - ne abbiamo fatti, però ci sono anche tante altre cose che riteniamo che erano state fatte in modo giusto..."
Quali?
"E' una riflessione molto più ampia. Il fatto di ribellarsi era la questione giusta, poi come farlo, come mettere in pratica una serie di atteggiamenti, non è... ci son tante altre strade, insomma. Noi avevamo inventato un metodo, insomma, però poi, alla lunga, non ci ha dato le risposte che volevamo. Il fatto di aver scelto quel tipo di strada lo ritenevo allora, adesso, dire adesso non ha alcun senso, però lo ritenevo allora una strada giusta. La lotta armata è una questione molto complessa [risata sommessa], nel senso che non è che si erano messi in conto tutta una serie di cose tra cui 30 anni di galera o l'ergastolo o via discorrendo. [...] io avevo 21 anni, non è che si sta a riflettere su una parola [...]"
Il carcere: "non è un'esperienza da poco, insomma, nel senso che il carcere, in particolare, ti svuota dentro."
L'intervistatrice chiede: ai giovani di oggi cosa si sentirebbe di dire?
"Rispondo con una battuta: non fate i nostri errori, fate le nostre cose giuste."
Altra domanda: ha un rimorso?
"Rimorsi non ne ho perchè li ho fatti [gli atti terroristici] in convinzione [...] ero convinto di quello che stavo facendo."
L'intervistatrice incalza: c'è stata un'azione, un modo di essere per cui lei si critica in modo particolare per il suo ruolo?
"No, di specifico no, se non per il fatto che ero giovane, ero inesperto. Quell'esperienza là l'ho vissuta anche in modo quotidiano, diciamo [...] più d'istinto."
E ancora: se lei pensa ai familiari delle vittime che ci sono state, di Moro e gli altri, la scorta...
"Eh, ma i familiari delle vittime sono come i familiari delle vittime nostre, più che dispiacere, più che provare un rammarico non..."
E' un rammarico o un pentimento? Qui Fiore dà il meglio di sé:
"Ma no, cosa vuol dire pentimento? Cosa vuol dire pentimento? Quando si fanno operazioni di un certo tipo si sa che si finisce col dare anche dei dispiaceri ad altri: la persona che veniva presa era per scardinare quel progetto, non per far del male a lui o alla sua famiglia, insomma, anche se poi avveniva questo."
Basta così, mi pare sia sufficiente. Quello che una trascrizione non può trasmettere è il senso di leggerezza con il quale Raffaele Fiore esprime i suoi concetti, abbozzando persino qualche mezzo sorriso se non sorrisi interi!
Se analizziamo il contenuto delle sue parole (pronunciate in quel modo) ci troviamo di fronte ad un uomo che non ha imparato nulla dal passato, dal suo passato, dalla sua storia. E' incredibile come Fiore non abbia minimamente pensato ad alcuni tra i potenziali telespettatori di TOP SECRET, che quella "storia", come la chiama lui, l'hanno subita in qualità di mogli, figli, figlie, fratelli, sorelle che - in un modo o nell'altro - non potranno mai uscire da quella "storia" perchè una perdita, avvenuta in maniera così tragica, lascia delle ferite che non si chiuderanno mai, specie in un Paese, l'Italia, che ha accantonato le vittime del terrorismo ed i suoi familiari, dando voce pricipalmente, se non esclusivamente, ai terroristi. Soltanto ultimamente le vittime hanno un po' di spazio in libreria e in televisione: forse la loro voce, oggi, non imbarazza più nessuno, alla luce di come è stato risolto, negli anni '90, il confronto tra lo Stato vittorioso e i terroristi sconfitti.
Fiore dice che "non si erano messi in conto tutta una serie di cose tra cui 30 anni di galera o l'ergastolo o via discorrendo [...] io avevo 21 anni, non è che si stia a riflettere su una parola" come "la galera, l'ergastolo o via discorrendo". Egli stesso ammette la sua immaturità ("avevo 21 anni"), quindi l'incapacità di valutare appieno parole pesanti e tangibili come galera, ergastolo. Purtuttavia, i suoi 21 anni, se non gli fecero mettere in conto la galera e l'ergastolo, legittimarono, scientemente, l'attacco al "cuore dello Stato" con conseguente annientamento di vite umane, considerate, in quella stagione, meri simboli da colpire per "scardinare quel progetto".
Sulla equiparazione delle vittime lascio volentieri ogni commento a Maria Fida Moro, nel post successivo. Sul pentimento, invece, desidero riportare le parole di Leonardo Sciascia in "L'Affaire Moro" (pag. 134, edizione Adelphi, 1994). Un augurio, un duro, necessariamente duro augurio rivolto ai giovani terroristi per uscire, dal di dentro, da quella stagione della loro esistenza: "forse ancora oggi il giovane brigatista crede di credere si possa vivere di odio e contro la pietà: ma quel giorno, in quell'adempimento, [riferendosi alla telefonata fatta dalle BR il 9 maggio '78 al prof. Tritto, amico della fam. Moro, con la quale si comunicava, peraltro in tono, scrive Sciascia, "paziente, meticoloso, riguardoso persino", dove trovare il corpo dell'on. Moro, chiamato "onorevole" e "presidente" dallo stesso brigatista al telefono] la pietà è penetrata in lui come il tradimento in una fortezza. E spero che lo devasti." Una devastazione positiva, costruttiva, assolutamente necessaria per ricominciare, per partire dalla propria umanità e da lì ricostruirsi una nuova esistenza. Roberto Fiore, evidentemente, non è stato "devastato" dalla pietà e dal pentimento, e lo ha detto chiaramente nell'intervista: "ma no, cosa vuol dire pentimento?" e lo ripete: "cosa vuol dire pentimento?". Già, cosa vuol dire...
Personalmente mi auguro che, prima o poi, la pietà devasti quest'uomo, che ha fatto poca strada lungo il cammino di revisione della propria esistenza. Se avesse fatto qualche "passo" non avrebbe usato termini tanto impropri, a dir poco riduttivi, quanto "dispiacere" o "rammarico" per i tanti lutti causati dal terrorismo. In studio, a seguire l'intervista, Maria Fida Moro, la figlia di una delle tante vittime di quel terrorismo, e Claudio Martelli, giovane ed autorevole esponente del PSI di allora. Al prossimo post per sentire le reazioni di entrambi.

sabato 24 maggio 2008

Raffaele Fiore, ex BR a via Fani: 30 anni dopo senza aver imparato nulla (1/3)

Il 1° maggio 2008, su "Rete 4" è andato in onda lo speciale TOP SECRET dedicato ad Aldo Moro, condotto da Claudio Brachino, presenti in studio Maria Fida Moro e Claudio Martelli. Prima di questo - per far sì che in questo blog tutto ciò che si riferisce ad Aldo Moro sia facilmente rintracciabile - desidero elencare i post precedenti sullo stesso argomento: 1 post pubblicato il 27 aprile, 5 il 28, uno il 29, un altro il 1° maggio. Ho trovato di estremo interesse la puntata di TOP SECRET, principalmente per una ragione: l'intervista all'ex BR Raffaele Fiore, facente parte del commando che in via Fani, il 16 marzo 1978, massacrò la scorta dell'on. Aldo Moro. Raffaele Fiore fu inoltre responsabile dell'assasinio di Fulvio Croce (presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati Procuratori del Tribunale di Torino) e di Carlo Casalegno (vice-direttore de LA STAMPA di Torino). Arrestato nel 1979 e condannato all'ergastolo, dal 1997 è in regime di libertà condizionata. Lavora presso un'associazione nei pressi di Piacenza che dà lavoro agli ex detenuti. Associazione di indubbia utilità sociale in quanto tutti, ripeto tutti, hanno diritto ad una seconda possibilità. Focalizzando l'attenzione sull'ergastolo di Fiore, potremmo dire che il suo, come quello di tutti gli altri brigatisti che sterminarono la scorta, rapirono Aldo Moro e lo ammazzarono, è stato un ergastolo breve, durato 18 anni. Ad un'analisi frettolosa e dominata dall'emotività, 18 anni di carcere, rispetto all'ergastolo, potrebbero risultare una passeggiata ed un insulto ai morti e ai loro familiari. Potrebbero, soltanto se chi è stato condannato all'ergastolo (addirittura a 6, come Mario Moretti, la mente - per quanto ne sappiamo - del sequestro Moro) non abbia dimostrato non tanto un intimo pentimento (a mio avviso basilare per la persona, ma legato ad un discorso interiore, difficilmente verificabile dall'esterno), quanto "una rinuncia al percorso seguito in passato", come ha osservato il difensore di Fiore, avv. Vainer Burani. E, aggiungo io, un totale distacco dal passato attraverso la VERITA', quella che rende LIBERI, realmente, intimamente LIBERI, e questo stato interiore è sì verificabile, attraverso i processi, ma anche grazie alle commissioni parlamentari e alle inchieste giornalistiche. Tutta la VERITA', senza ombre, reticenze, contraddizioni che maleodorano di omertà, coperture, connivenze. Si può anche aver abbandonato la "lotta armata" e vivere una vita normale, prestando la propria opera a favore dei più deboli, ma se - come effettivamente è - sul "caso Moro" i conti non tornano (mi riferisco unicamente al versante brigatista, non ai buchi neri istituzionali) è ovvio che le verità brigatiste non hanno soddisfatto e questo significa che la VERITA' non è tale, in quanto opportunamente dosata, se non adattata per finalità che ancor oggi qualcuno dovrebbe spiegarci, ma che valenti studiosi del caso hanno già abbozzato. Ebbene, se queste due condizioni non si verificano pienamente (totale presa di distanza dalle scelte criminali del passato e totale trasparenza sul personale coinvolgimento in dette scelte), come si può passare - faccio l'esempio di Mario Moretti - da 6 ergastoli ad un permesso di 4 giorni nel gennaio del 1993, dopo appena 12 anni di carcere?! Qualcosa, evidentemente, non quadra... ma avrò modo di ritornare su queste stranezze. Nel caso di Raffaele Fiore, invece, l'ergastolo si è ristretto a 18 anni e, se il suo avvocato la considera una vittoria, personalmente, dopo aver ascoltato l'intervista a Fiore, è difficile, se non impossibile, ravvisare una specchiata "rinuncia al percorso seguito in passato". Sia ben chiaro: Raffaele Fiore ERA un brigatista ed ORA vive in tutt'altro modo. Quindi questa "rinuncia" effettivamente c'è stata, ma le sue parole, i suoi toni, il suo modo di presentarsi di fronte alle telecamere hanno dimostrato una immaturità, una mancanza di sensibilità e di consapevolezza che cozza, sonoramente cozza, con "la rinuncia al percorso seguito in passato". In questo caso l'intimo pentimento, sempre difficile da verificare, è verificabile al 100%: non vi è stato alcun pentimento, né intimo nè superficiale. Nulla di nulla, se non una superficialità agghiacciante, e con essa una mancanza di sensibilità nei confronti di chi ha perduto un padre, un marito, un fratello, un figlio. Nel prossimo post proporrò alcuni passi di quell'intervista che, personalmente, mi ha lasciato un senso di vuoto, rabbia ed infinita tristezza. Tristezza nei confronti di un uomo, Raffaele Fiore, che a distanza di 30 anni dall'accadimento dei fatti, non ha ancora compreso di averli commessi, perlomeno non l'ha compreso la parte più importante di se stesso, quella interiore, quella che ci consente di perderci per poi ritrovarci....

domenica 18 maggio 2008

Tragedia piccolo borghese di fine anni '50...



Questa tragedia coniugale dell'Italia piccolo borghese (tragedia che si snoda fra Milano ed una borgata di Ferrara), magistralmente abbozzata da Sam Carcano per la "Settimana Incom" del 26 aprile 1958, potrebbe essere il soggetto per un dramma diretto da Camillo Mastrocinque oppure una storia degna dei più intensi feuilleton di fine Ottocento (ed oltre), ma il giornalista la accosta, a ragione, all'opera cinematografica di Michelangelo Antonioni. Personalmente leggendo queste pagine ho rivisto e rivissuto le atmosfere ed il finale tragico de "Il Grido", di Antonioni appunto, del 1957 con il grande attore americano Steve Cochran e Alida Valli. L'invito è alla lettura di questa triste fine di un amore e di due vite in un'ottica che conduca il lettore oltre la dimensione privata, prestando attenzione allo stile, ai toni, al lessico, alle immagini (in questo caso le foto dei due protagonisti). I drammi non hanno età, ma è il modo di descriverli che cambia. Un'analoga tragedia nel 1968-70 (gli anni che abbiamo trattattato nei numerosi post precedenti) sarebbe stata affrontata, giornalisticamente parlando, in tutt'altro stile... così come i protagonisti (ritratti nelle due foto) avrebbero avuto altri abiti, altre pose, altre facce, altre acconciature... e una storia è il composto di tanti particolari che la rendono unica, sempre.

sabato 17 maggio 2008

Vacanze contestate

Questa risposta del direttore della "Domenica del Corriere" (numero del 1° luglio 1969) ad un molto probabile giovane lettore presenta, con condivisibile pragmatismo - condivisibile almeno per il sottoscritto -, gli aspetti positivi della "società dei consumi" senza per questo negare i rischi, i pericoli di una simile società (ved. anche i miei 3 post del 01 maggio). Se negli anni '50 - specie negli USA - si prospettava "la tendenza alla saturazione della domanda", nel decennio successivo e per tutti gli anni '70, si diffonderà sempre più "la religione dello spreco", grazie proprio alla società del benessere. L'affermazione del direttore di aver conosciuto il mare a 10 anni è un'affermazione che ho sentito in molte persone oggi settantenni e oltre, genitori compresi. Con gli anni '60 - almeno nelle zone più industrializzate del Paese, questo è un discorso generale - molte coppie appena sposate passavano dalle vecchie abitazioni dei genitori coi "cessi sul balcone" al bagno in casa (per i miei questa è stata una rivoluzione!), alla "tivi" non più vista al bar o da quello del secondo o terzo piano, ma una "tivi" tutta per te, così come il frigo, il frullatore e tante altre piccole e grandi cose che il benessere ha portato nelle case degli italiani, compresa la possibilità di mandare i figli a scuola...

venerdì 16 maggio 2008

Estate italiana, il decennio è finito (2/2)

Questa ingenua carrellata di fotografie balneari vorrebbe farci entrare nella vacanza tipo di due "impiegatine di Monaco di Baviera", tali Jùtta e Angelica, piacenti ragazze alla scoperta del bel Paese, tampinate, baccagliate - diremmo oggi - dal maschio italiano in cerca di avventure. Anche se le immagini si riferiscono al 1970 (infatti foto e didascalie sono tratte dalla "Domenica del Corriere" del 14 luglio 1970) trovo che richiamino alla mente i clichè degli anni '60 esenti da contestazioni, '68, hippy e quant'altro. C'è quindi una sensibile differenza tra il post precedente e l'attuale, anche se praticamente contemporanei. Questo è il chiaro esempio di come un'epoca - ogni epoca - sia complessa, presenti inevitabili contraddizioni, contrapposizioni, manifestazioni diversamente partecipate. Ed è anche il chiaro esempio di come le immagini debbano essere sempre contestualizzate, rese ancor più fotografiche dalle parole e da altre immagini, contrarie e contemporanee, al fine di sentire il vero polso di qualsiasi stagione.
Questi giovani non contestano, anzi! Sono, come recita una delle didascalie, un "gruppetto di pappagalli" interessato ad approfondire la conoscenza delle due ragazze, con grande apprensione delle mamme lasciate in Germania. Facce, dunque, di una stessa medaglia, che ci offrono - nello specifico di queste simpatiche fotografie - differenti stili per approcciarsi all'estate, tempo in cui, contestazione o meno, la ricerca del piacere accomuna un po' tutti.

Estate italiana, il decennio è finito (1/2)

Istantanee di un'estate italiana di fine decennio (dalla "Domenica del Corriere" del 26 agosto 1969): gli anni '60 iconografici, quelli di Gianni Morandi, Rita Pavone, Edoardo Vianello - tanto per fare alcuni nomi amati dai coetanei di questi artisti - sono già distanti da questa estate in perfetto stile "figli dei fiori", con netti richiami americaneggianti. Basti pensare al festival musicale di Monterey del 1967 e al mitico Festival di Woodstock, avvenuto appena 10 giorni prima - 15, 16, 17 agosto - a Bethel, nella contea di Sullivan, NY; non soltanto un concerto, ma un evento culturale e sociale per i giovani che vi presero parte e per tutti quelli che, quasi per un effetto domino, nel mondo occidentale ne rimasero affascinati quasi fosse un simbolo onirico di libertà, liberazione... un sogno, una visione sociale indefinita, puntellata da parole, atteggiamenti, policromatici scollamenti dalla realtà privi di autentica progettualità. Diversi films italiani di quell'epoca ci consentono, ancor oggi, di percepire questi aspetti. A questo proposito si consiglia la consultazione della sezione "recensioni" del bel sito: http://www.caniarrabbiati.it/
E per contestualizzare, e portare su un piano reale, il cosiddetto concerto di Woodstock, suggerisco la seguente lettura: http://digilander.libero.it/oldiesclub/pegleg/