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sabato 18 aprile 2009

Quando pensi che potrebbe essere giusto e invece...


In questo blog alcune volte mi sono occupato delle BR, in particolare del caso Moro, avendo curato una inchiesta per il mensile "Storia in Rete" (inchiesta qui riproposta). Ho anche dedicato tre post all'agghiacciante intervista all'ex BR Raffaele Fiore, andata in onda su Rete4 il 01 maggio 2008 (i miei post sono stati pubblicati alla fine di maggio '08). A furia di scrivere e leggere relativamente a questi dolorosi e complessi argomenti, sforzandomi di farlo con la testa e con il cuore, mi sono chiesto: è così netto il confine fra una scelta di civile protesta politica e sociale - propria di quegli anni - e la lotta armata? Mi riferisco naturalmente a quei giovani che dopo un percorso più o meno ragionato, più o meno sentito, hanno optato per la clandestinità, giocando la loro battaglia con purezza rivoluzionaria, che non mi sento minimamente di condividere, ma che è segno di una onestà intellettuale - onesta, seppur distorta - che certo non si può attribuire a quelle figure della lotta armata che ancor oggi non sappiamo bene da che parte militassero: agenti infiltrati, provocatori, doppio-giochisti? Nel maggio 1978, mese dell'uccisione dell'on. Aldo Moro, avevo 11 anni e mezzo. Pochi per una presa di posizione, ma abbastanza per sentire il disagio e la violenza attorno a me. In casa mia non si parlava molto di politica, ma dai discorsi dei miei e delle persone grandi che frequentavamo, ricordo la sfiducia per la classe politica italiana. Una sfiducia che seppelliva un po' tutto l'arco costituzionale. Discorsi superficiali? Non del tutto. Anche. Ricordo una frase, ripetuta spesso: "Moro lo vogliono morto, non tanto le BR, lo vogliono morto i suoi", intendendo per "suoi" i compagni di partito della DC. Certo, un'affermazione acritica, che investiva tutto e tutti, senza distinzione alcuna e pertanto opinabile. Ma era il sentire di una generazione - o parte di essa - delusa, che forse non accettava più i vecchi politici sulla breccia da 30 anni e allo stesso tempo non conosceva, comprendeva ed accettava i giovani di quei turbolenti anni '70, molti fra essi attivamente coinvolti nella politica, nelle forme più disparate: lecitamente, illecitamente, sul filo del rasoio... Ritorno ai miei 11-12 anni e ricordo. Ricordo immagini di tensione, di violenza, di piazza, murales che sprigionavano rabbia, dolore e ribellione. Scioperi, cassa integrazione, licenziamenti, un insieme di stimoli che ti colpiscono, ti investono, e non hai i mezzi per affrontarli, distinguerli e analizzarli. Spesso non sei aiutato a comprendere, a decifrare quelle immagini. La mia generazione non parlava molto coi genitori, con gli adulti in generale. E così inizi a pensare che alle ingiustizie si debba rispondere in qualche modo. E il modo violento è il modo apparentemente più diretto, risolutivo. E' un terribile pensiero che mi ha sfiorato, un sentimento di odio nei confronti delle ingiustizie. In fondo le BR e tutti gli altri gruppi analoghi a cosa si ispiravano? Al comunismo, questo monolite che neppure comprendevo, ma che sembrava, ai miei occhi di preadolescente e adolescente, la soluzione non tanto ai mali del mondo, ma alla staticità, allo stare fermi senza reagire. Una sorta di rabbia concretamente espressa. Che idiozia! Idiozia che non trovò mai compimento in me, ma fa riflettere. Riflettere su come un giovane possa imboccare una via senza ritorno in nome di una supposta giustizia sociale che non ha portato e mai condurrà da qualche parte. Inoltre, ero infatuato dalla riduttiva visione della giustizia sociale monopolio del solo comunismo! Che ingenuità, che visione limitata della vita, della società e dell'uomo ritenere che solo il comunismo può e deve condurre alla giustizia sociale. Ringrazio non so bene chi - anche me stesso - perchè certi pensieri sono rimasti tali e si sono sciolti come neve al sole. Questo aspetto di quegli anni andrebbe studiato, approfondito...

5 commenti:

Luciano ha detto...

Non avevo mai pensato a questo aspetto, direi del tutto nascosto, quasi intimista. E' una linea sottile quella che divide certe scelte da altre. Bel post, davvero!
Luciano

Alex ha detto...

E' vero, gli aspetti intimisti vengono raramente approfonditi nello studio dei processi storici.
Una testimonianza decisamente inusuale!
Alex

Marco ha detto...

Nell'analisi di uno specifico fatto, di un "evento" storico circoscritto come può essere la scelta o meno di taluni individui di entrare nella lotta armata, spesso non si considerano, o si sottovalutano, gli aspetti emozionali, psicologici, il rapporto intimo con la violenza... voglio dire: si guarda alle cause storiche, politiche, sociali, ma la storia è anche fatta di "pancia", di rapporto in bilico tra razionalità ed irrazionalità.
Sicuramente interessante questo post. Non tanto per il post in sé quanto per il suggerimento presente in esso, un guardare oltre la "classica" storia raccontata nel più "classico" dei modi.
Marco B., Torino

Lucia ha detto...

Non avevo mai riflettuto su questo aspetto marginale della nostra storia...
grazie per il post
Lucia

Savino ha detto...

Evviva un po' di onestà intellettuale. Bravo!
Savino