“Il bambino programmato” è un articolo pubblicato il 7 aprile 1970 sulla “Domenica del Corriere”. Essendo nato nel 1967 ho letto questo pezzo con un interesse particolare, cercando di trovare in ogni rigo un accenno, seppur indiretto, ai miei genitori, al mio passato, all’educazione che ho ricevuto. Il risultato è stato, lo dico senza alcuna enfasi, sconvolgente per quanto mi sono ritrovato e per quanto certe tappe della biologia, a sentire i “futurologi”, porteranno (siamo nel 1970) a “programmare le doti delle generazioni future”… discorsi farneticanti che a volte ritornano. Assurdità a parte, ciò che colpisce in questo articolo (pubblicato in 2 post) è la sintetica, ma decisamente efficace capacità d’analisi di un modo di concepire e vivere la famiglia, “reazionaria” prima, “democratica” poi. Definizioni a parte, che risentono del clima post ’68, l’autore dello scritto propone delle spiegazioni alla solitudine e alla insicurezza che già allora si stava insinuando nelle nuove generazioni, nate nella cosiddetta società dei consumi. Come già scritto in altri post, la lettura del nostro passato è fondamentale per comprendere il nostro presente e sentire, quasi toccare con mano, quel ponte che unisce (o, paradossalmente, divide) epoche e generazioni.
mercoledì 18 giugno 2008
Il bambino che sono (siamo) stato... (1/2)
“Il bambino programmato” è un articolo pubblicato il 7 aprile 1970 sulla “Domenica del Corriere”. Essendo nato nel 1967 ho letto questo pezzo con un interesse particolare, cercando di trovare in ogni rigo un accenno, seppur indiretto, ai miei genitori, al mio passato, all’educazione che ho ricevuto. Il risultato è stato, lo dico senza alcuna enfasi, sconvolgente per quanto mi sono ritrovato e per quanto certe tappe della biologia, a sentire i “futurologi”, porteranno (siamo nel 1970) a “programmare le doti delle generazioni future”… discorsi farneticanti che a volte ritornano. Assurdità a parte, ciò che colpisce in questo articolo (pubblicato in 2 post) è la sintetica, ma decisamente efficace capacità d’analisi di un modo di concepire e vivere la famiglia, “reazionaria” prima, “democratica” poi. Definizioni a parte, che risentono del clima post ’68, l’autore dello scritto propone delle spiegazioni alla solitudine e alla insicurezza che già allora si stava insinuando nelle nuove generazioni, nate nella cosiddetta società dei consumi. Come già scritto in altri post, la lettura del nostro passato è fondamentale per comprendere il nostro presente e sentire, quasi toccare con mano, quel ponte che unisce (o, paradossalmente, divide) epoche e generazioni.
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