Quando vedo e penso alla pubblicità, sempre più capillare, insidiosa, una sorta di vero e proprio condizionamento mentale, uno stimolatore dei nostri più disparati e superflui desideri (ma cosa è veramente utile ed inutile, quando l'uno si sovrappone all'altro?), quando vedo tutto ciò penso a Pier Paolo Pasolini (1922-1975), un uomo che, personalmente, non ho mai identificato come soggetto politico (seppur fosse di sinistra, ma una voce fuori dal coro, un indipendente, non amato dall'establishment del PCI di allora), bensì una forte, indispensabile presenza nella società italiana degli anni '60-'70. Pier Paolo Pasolini era, innanzi a tutto, un poeta, un poeta civile, alla ricerca del vero, del vero intrinseco. Un uomo che guarda, osserva, studia ed intellettualmente contesta.
"Un autore - si confessa di fronte alle telecamere - quando è disinteressato e appassionato, è sempre una contestazione vivente. Appena apre bocca contesta qualcosa, al conformismo, a ciò che è ufficiale, a ciò che è statale, a ciò che è nazionale, a ciò che, insomma, va bene per tutti. Quindi, non appena apre bocca, un’artista è per forza impegnato, perché il suo aprir bocca è scandaloso, sempre."
Pasolini sa. Sa perchè osserva, perchè studia, perchè è il suo mestiere, quello dell'intellettuale, nel senso più alto, più nobile (nobiltà umana) del termine.
E così anche la pubblicità - apparentemente banale e, perchè no, persino utile - luccicante manovalanza di un sistema immarcescibile, impone alla nostra mente delle considerazioni, ahimè vane, ma io credo nella consapevolezza, malgrado tutto, malgrado il risultato finale.
“Il regime - disse Pasolini, sempre utilizzando il mezzo televisivo - è un regime democratico, eccetera, eccetera, però quella aculturazione, quella omologazione che il fascismo non è riuscito assolutamente a ottenere, il potere di oggi, cioè il potere della civiltà dei consumi, invece riesce a ottenere perfettamente, distruggendo le varie realtà particolari, e questa cosa è avvenuta talmente rapidamente che, in fondo, non ce ne siamo resi conto. E’ avvenuto tutto in questi ultimi 5, 6, 7, 10 anni. E’ stato una specie di incubo in cui abbiam visto l’Italia intorno a noi distruggersi e sparire. Adesso, risvegliandoci, forse, da quest’incubo e guardandoci intorno ci accorgiamo che non c’è più niente da fare.”
Pasolini, quasi 40 anni fa, ha visto giusto, sentito giusto. Quello che non è riuscito a fare il fascismo, il nazismo e il socialismo reale (irrigimentazione e omologazione a lungo termine) è riuscito a farlo il capitalismo, all'interno del regime democratico. Se, sintetizzando, possiamo definire il capitalismo il "sistema economico-sociale la cui caratteristica principale risiede nella proprietà privata dei mezzi di produzione, e nella conseguente separazione tra classe dei capitalisti e classe dei lavoratori", il consumismo altri non è che "la tendenza, tipica delle economie caratterizzate da un alto livello di benessere, e rafforzata dalle tecniche pubblicitarie, a un uso accelerato di beni anche non necessari, i quali vengono proposti e assunti come simbolo di prestigio sociale." Ogni commento ed ogni contestualizzazione storica (relativa alle pubblicità di 40 anni fa come a quelle di oggi) è superfluo, come superfluo risulta ripetere e sottolineare, ma voglio essere superfluo, che il consumismo altri non è che il braccio armato del capitalismo... e tutti, davvero tutti, ci siamo arresi, e Pasolini l'aveva capito, e previsto: "adesso, risvegliandoci, forse, da quest’incubo e guardandoci intorno ci accorgiamo che non c’è più niente da fare.”
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